taggiasca.com
olio extravergine di oliva
raccolta di scritti
a cura della Dottoressa
Rita Zerbone

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olive taggiasche * DESCRIZIONE BOTANICA

L'olivo, Olea europea, è un albero di media dimensione con un tronco contorto (specialmente nel caso delle piante più vecchie) e foglie opposte, lanceolate, lunghe in media da 5 a 8 centimetri con il margine lievemente rivoltato, di colore verde cinereo nella pagina superiore e argenteo in quella inferiore. I fiori sono riuniti in cime, bianchi, con un breve tubo in cui sono inseriti i due stami. L'ovario è unico, supero, diviso in due caselle.

In alcune varietà ci sono fiori esclusivamente maschili e fiori esclusivamente femminili. Inoltre il polline di una pianta non è sempre capace di fecondare l'ovario della stessa pianta e occorrono talvolta gli insetti come agenti impollinatori.

* VARIETÀ DI OLIVO

L'olivo reagisce bene a nuove tecniche colturali, in miglioramento continuo, tanto che il numero delle cultivar è assai elevato. Sono stati addirittura studiati metodi di classificazione in base alla forma del nocciolo, del frutto e delle foglie.

Si distinguono poi le cultivar da olio, di cui si considera soprattutto la produttività; quelle da mensa, per cui contano la qualità e il volume del frutto, i suoi caratteri organolettici, la consistenza della polpa, la facilità di distacco del nocciolo; quelle a duplice attitudine, che producono un frutto medio-grande anche quando la pianta presenta una carica ottimale e vengono perciò utilizzate sia per frantoio che da tavola.

Carocci Buzzi elenca le seguenti varietà maggiormente diffuse:
Varietà da oliva mangereccia o da tavola
  1. Ascolana tenera (Marche)
  2. Bella di Spagna (Spagna)
  3. Bianca d'Agrignion (Grecia)
  4. Cucca (Marche)
  5. Gordales Sivigliana (Spagna)
  6. Manzaniglia (Spagna)
  7. Santa Caterina (Toscana)
  8. Sant'Agostino (Puglie)
Varietà con frutto da olio
  1. Arnasca (Liguria)
  2. Canino (Lazio)
  3. Carboncella (Abruzzi)
  4. Cariasina (Sardegna)
  5. Casaliva (Lago di Garda)
  6. Cellina (Puglie Molise Lucania)
  7. Coratina (Puglie)
  8. Favarol (Veneto)
  9. Feglina (Liguria)
  10. Frantoio (Toscana)
  11. Gaggiolo (Lago di Como)
  12. Grappolo (un po' ovunque)
  13. Lavagnina (Liguria)
  14. Leccio (Toscana)
  15. Leucocarpa (Grecia)
  16. Laurino (Toscana)
  17. Mignolo (Toscana)
  18. Moraiolo (Toscana Umbria)
  19. Morinello (Toscana)
  20. Nebbio (Toscana)
  21. Negrera (Lago di Garda)
  22. Ogliarola (Calabria Lucania)
  23. Olivo delle Alpi (Liguria)
  24. Ottobrina (Liguria)
  25. Palma (Sardegna)
  26. Piangenta (Toscana)
  27. Pignola (Liguria)
  28. Racemo (Puglie)
  29. Razzola (Liguria)
  30. Re dei Mignoli (Toscana)
  31. Rosciola (Regioni Meridionali)
  32. Sargano (Marche)
  33. Spagnola di Missano (Liguria per importazione Spagnola)
  34. Taggiasca (Liguria)


* AMBIENTE NATURALE DELL'OLIVO

Le condizioni climatiche più favorevoli per la coltivazione sono quelle miti con inverni non troppo rigidi ed estati non troppo calde. Come tutte le piante da frutto, l'olivo fiorisce quando il clima primaverile scongiura il pericolo di gelate.

A differenza di altre piante però, comincia a maturare i suoi frutti solo nel tardo autunno.

L'olivo coltivato (Olea europea) è la specie tipica della famiglia chiamata Olea. Cresce selvaggio in vari paesi dal Punjab al Marocco, alle Isole Canarie e su entrambe le coste del Mediterraneo, dalle scogliere di Atlante alla Francia del Sud e alla Macedonia dove umidità e condizioni climatiche sono favorevoli. Abbonda in modo particolare in Siria e in Algeria. Il tipo selvatico ha piccole foglie rigide e un frutto con poca polpa e viene a volte considerato una varietà botanica distinta con il nome di Olea sylvestris.

L'olivo coltivato cresce nelle stesse regioni, e con i mezzi di irrigazione anche in località troppo secche per la sua acclimatazione naturale. Fin dalla preistoria lo si trova in Asia Minore da dove sembra sia originario. La sua coltura fu introdotta nei paesi del Mediterraneo da Fenici, Greci e Romani.

* COLTIVAZIONE DELL'OLIVO

SISTEMA DI COLTIVAZIONE ATTUALE

L'olivo è un albero che può continuare a rinnovarsi indefinitivamente e continuamente dal suo ceppo. Si sono visti germogliare virgulti di olivo da alberi sradicati da oltre 50 anni.

Gli alberi possono essere riprodotti con facilità. È abbastanza usuale cambiare la varietà con innesti. Dopo 5 anni cominciano a produrre, ma ne devono passare una quindicina per raggiungere la pienezza di produzione che è condizionata dalla maggiore e minore coltivazione e dal tipo della stessa.

L'uliveto nasce dalla messa a dimora, cioè dal trapianto nei terreni di pianticelle derivate da talee e da polloni (parti della pianta adulta fatti radicare) o da olivetti ottenuti con semi e successivamente innestati.

Il piantamento di un oliveto o il rinnovo di quelli esistenti sono facilitati oggi dall'impiego di strumenti di lavoro perfezionati rispetto a quelli usati dai nostri antenati, o da macchine agricole, se pure il loro uso è possibile in terreni così accidentati e ripidi come quelli della Liguria.

Il terreno pieno di pietre e scosceso doveva essere reso pianeggiante e bonificato, cioè essere sistemato a "fascia". Bisognava perciò per prima cosa costruire a valle un muro a secco, una "maxèa", utilizzando le pietre più grosse tolte dal terreno o portate da altri luoghi a braccia o a dorso di mulo.

Fatto il muro, cominciava il riempimento. Il contadino, usando il bidente ("bagàggiu"), picconi e zappe, spianava il terreno, raccoglieva le pietre più piccole per costruire altri muri di sostegno, scalette tra una fascia e l'altra, muretti di recinzione delle proprietà e di protezione per le colture. Preparava poi il terreno con le buche dove si sistemavano le piante, concimate con stallatico o stracci.

Se si trattava di terreni già sfruttati, bisognava rimuoverli in profondità prima dei piantamenti, cioè "dèsfunduarli".

Uno studioso ha calcolato come segue il costo dell'impianto di un uliveto in giornate di lavoro:
  • per la costruzione del muro a sostegno della fascia, lo scavo del pietrame, il trasporto del materiale a dorso di mulo: giornate di lavoro per ogni pianta n. 11
  • per la lavorazione e la preparazione del terreno (mq. 20 per ogni pianta): giornate di lavoro n. 2
In totale 13 giornate di lavoro per ogni pianta messa a dimora.

Poichè in un ettaro di terreno si piantano di regola 500 ulivi, questo calcolo dà la misura delle fatiche e delle energie impiegate dai contadini liguri.

L'ulivo viene sistemato definitivamente nel terreno destinato ad ospitarlo quando la pianticella ha circa 2 anni.

Naturalmente gli si dà un tutore, cioè un palo di sostegno, al quale viene fissata per difenderla dalle raffiche del vento e da altri danni. Nei terreni troppo asciutti le si scava attorno una piccola fossa circolare con i bordi rialzati dove si raccoglie la pioggia, per assicurare un minimo di umidità alle radici della nuova pianta.

Poi il contadino si mette in attesa, perchè lo sviluppo dell'olivo è lentissimo. In compenso è pianta longeva: si ha notizia di olivi con la bella età di duemila anni.

Nei primi tempi la chioma della pianta ha forma di cono, poi diventa tondeggiante. Dove però si interviene con la potatura, l'aspetto della chioma è oggi spesso a vaso, in quanto in molti casi la pianta viene come svuotata, perchè aria e luce circolino liberamente tra le fronde e per difenderla meglio dagli attacchi dei suoi nemici.
Alla potatura è riconosciuta grande importanza, perchè permette di ringiovanire l'albero e di eliminare gli squilibri di produzione.

Tuttavia l'olivo non dappertutto in Liguria subisce lo stesso trattamento: gli usi e gli attrezzi da lavoro cambiano nel tempo in rapporto a molti fattori, come l'età dell'uliveto, gli attacchi dei parassiti, i danni provocati alle piante dalle avversità atmosferiche, i modi della riproduzione, le tradizioni locali ecc.
Ogni oliveto ha dunque la sua storia ed esige trattamenti diversi. Non solo, ma ogni pianta è un mondo a sè.

Per potare gli uliveti e per i lavori di rimonda il coltivatore ligure dispone di molti attrezzi, più o meno simili in tutto l'arco rivierasco, sebbene i nomi possano spesso cambiare.

Per il taglio dei rami usa seghetti di diversa dimensione e forma ("sère", "serète", "seràcchi"), ma servono anche le accette e le roncole, ("i piccòssi", "i penàti", le "penatì-e", "i marassìn").
Le forbici per potare ("tesüìe", "tesùire" a Vasia, "e tersùglie" ad Apricale) si usano per sfrondare la chioma, tagliare i polloni e i succhioni, i rametti che tendono ad abbassarsi, i rami già sfruttati.
Contemporaneamente alla potatura il contadino pratica un lavoro di ripulitura generale: la rimonda.
Toglie la corteccia rinsecchita o marcia, sotto cui si annidano i parassiti, con roncole dalla lama ricurva e con "spassètte" (Genova S. Ilario) dalle setole di ferro; elimina i rametti che non fruttano più ("capùn" in Val Graveglia), seleziona quelli giovani destinati a portare fiori e frutti ("e fèrle").
Taglia infine i "brindilli" (rami piccolissimi e sterili), i polloni e i "bròtti" (Imperia), cioè i rami e i rametti improduttivi che di regola vengono bruciati nell'uliveto.
Per mezzo di aste di ferro con la punta tagliente e ricurva a forma di sgorbia ("e sgùrbie") raschia le parti marce sulle radici e all'interno del tronco, quando la pianta è vecchia e contorta.

Tutte queste operazioni di potatura e di rimonda cominciano dopo la raccolta e proseguono a primavera, prima che sui rametti spuntino i nuovi fiori. Più o meno nello stesso periodo il contadino lotta contro i parassiti e concima le sue piante.

Un tempo la concimazione si praticava esclusivamente con il letame, con stracci, cenere e corno raschiato. Un po' di stallatico era introdotto anche nelle buche dove si piantavano i giovani olivi, facendo in modo però che le radici non ne venissero a contatto.
Il concime si distribuiva sul terreno in autunno, a volte prima ancora che incominciasse la raccolta. A causa del fabbisogno d'acqua nei momenti di siccità, in qualche parte della Liguria il contadino praticava la "sconcatura", circondava cioè le piante con un piccolo fosso anulare dai bordi rialzati, per favorire la raccolta e la penetrazione dell'acqua piovana.
La siccità era considerata una disastrosa calamità: nell'Imperiese intere popolazioni, vestite con il saio e il cappuccio, si muovevano in processione dietro gli stendardi delle Confraternite, innalzando i crocefissi, poi si radunavano in chiesa ad implorare la pioggia.

NUOVO SISTEMA DI COLTIVAZIONE DELL'OLIVO

Ogni anno numerosi uliveti vengono abbandonati del tutto oppure vengono coltivati con sempre minori cure e, quindi, danno produzioni sempre più modeste.

Questa situazione si può spiegare considerando che la somma ricavata dalla vendita dell'olio spesso non è sufficiente a ripagare il lavoro necessario per la buona conduzione dell'oliveto e per la raccolta delle olive.

L'esperienza condotta dalla regione Liguria in questi ultimi anni nei campi sperimentali di Diano Marina, Lucinasco (IM), e Castelnuovo Magra (SP), già seguita e applicata da numerosi olivicoltori, dimostra che è possibile rendere più razionale la coltivazione dell'olivo.

CRITERI GENERALI

Il metodo per la riforma degli oliveti tradizionali è stato ideato e messo a punto dal Prof. Giuseppe Fontanazza, direttore del Centro Studi per l'Olivicoltura del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonchè consulente tecnico e scientifico della Regione Liguria. La considerazione che sta alla base di questo metodo è la seguente: gli olivi sono in genere troppo fitti, si fanno ombra l'un con l'altro, raggiungendo dimensioni (fino a 10-12 metri di altezza) che rendono molto difficili raccolta e potatura.

Di conseguenza occorre diradare le piante di olivo in modo che gli alberi superstiti possano godere di sufficiente illuminazione. Inoltre è altrettanto necessario abbassare la chioma delle piante così da rendere possibile la raccolta e la potatura da terra, con poco sforzo e poco pericolo.

L'intervento di riforma dell'oliveto si svolge in un arco di tempo di circa 3-4 anni al termine del quale, se tutto è andato per il meglio, si potrà ottenere una produzione abbondante, costante e di ottima qualità.

Vediamo, anno per anno, quali sono le operazioni necessarie e con quali criteri vanno effettuate.
  • PRIMO ANNO
    Tutte le operazioni in questo primo anno devono essere svolte in inverno.
     
    1. Sfoltimento
      Nelle condizioni medie liguri, si può considerare eccessivamente fitto un oliveto con più di 250-300 piante per ettaro, corrispondente ad una distanza media tra le piante di circa 6 metri. Ove questa fittezza venisse superata, è opportuno abbattere un certo numero di olivi, in modo tale che piante rimaste siano giustamente distanziate.
      Orientativamente la distanza media deve essere di circa 7 metri.
      Dovendo scegliere tra le piante da abbattere e da salvare, bisogna attenersi ad alcuni semplici criteri guida.
      Bisogna salvare le piante che sono:
      • più produttive
      • più sane
      • più ricche di ramificazioni entro 3 metri dal suolo
      • più giovani e rigogliose
      • meglio esposte ed illuminate.
      Per converso, è opportuno abbattere gli olivi che presentano le caratteristiche contrarie.
      Il taglio va effettuato a livello del suolo. Non è necessario stirpare la ceppaia rimasta. I polloni che, quasi sicuramente, nasceranno la primavera successiva saranno tagliati in un secondo tempo.

    2. Abbassamento
      Dopo il taglio delle piante eccedenti, occorre abbassare la chioma delle rimaste fino ad ottenere piante con un tronco non più alto di circa 3 metri, portante una vegetazione pendula ben distribuita in tutte le direzioni.
      È necessario che i frutti possano essere raccolti direttamente a mano o con l'aiuto di semplici attrezzi (rastrellini, pettini, piccoli vibratori pneumatici che scuotono rialletti facendo cadere i frutti) da un operatore posto a terra. Quindi i rami fertili non dovranno trovarsi oltre i 2 metri da terra, circa.
      Dopo il taglio del tronco a circa 3 metri, è necessario provvedere al taglio delle branche che si dirigono verso l'alto.
      Devono invece essere salvate le branche più basse disposte in senso più o meno orizzontale, molto importanti per ricostruire una chioma ben distribuita. Se l'olivo non disponesse di sufficienti ramificazioni basse è opportuno procedere all'abbassamento in modo diverso. Infatti, se si tagliasse drasticamente il tronco a 3 metri la pianta resterebbe con un numero insufficiente di gemme e sarebbe stimolata ad emettere molti polloni dalla zona del colletto, cioè dalla base del tronco.
      Questi polloni potrebbero facilmente prendere il sopravvento sul tronco, rendendo così l'operazione di recupero molto più lenta e complicata.
      Per evitare queste indesiderabili conseguenze, si taglierà il tronco ad una altezza superiore a quella ottimale, possibilmente al di sopra di una branca o di un palco di branche.
      Questa azione, combinata con la concimazione di cui si dirà in seguito, dovrebbe permettere all'olivo di emettere un certo numero di succhioni a partire dalle gemme latenti presenti sul tronco. Alcuni di questi succhioni, posti all'altezza giusta, potranno consentire la creazione di una chioma ben distribuita.
      Nel secondo anno sarà quindi possibile abbassare ulteriormente il tronco fino all'altezza ottimale di circa 3 metri.
      La raccolta e lo sgombero del legname tagliato è, fra le operazioni del primo anno la più lunga, o per meglio dire quella che impiega più mano d'opera. In compenso la raccolta e lo sgombero del legname possono essere effettuati nei ritagli di tempo.
      Inoltre, dalla vendita del legname si può ricavare una certa somma.
      La ramaglia ed il legno non vendibile possono essere usati per il riscaldamento domestico.

    3. Concimazione
      Tre-quattro settimane dalla ripresa vegetativa (quindi verso l'inizio di marzo) è necessario concimare gli olivi.
      L'obiettivo è quello di aiutare la pianta a reagire ai tagli emettendo molta nuova vegetazione.
      Pertanto è consigliabile somministrare concimi azotati, o comunque con prevalente contenuto in azoto, quali l'urea, sostituibile, nei terreni calcarei, con il solfato ammonico.
      Nei terreni poveri può essere utile somministrare anche una certa quantità di concimi a base di fosforo e potassio.
      La quantità di concimi da distribuire dovrebbe essere determinata sulla base dei risultati di un'analisi del terreno.
      Se questi dati non sono disponibili, può ritenersi soddisfacente, in condizioni medie, circa 1,5 kg per pianta di urea agricola, pari a circa 2,5 kg di nitrato ammonico a titolo 26-28 e circa 3,5 kg di solfato ammonico a titolo 19-21.
      Il concime deve essere distribuito intorno al tronco, in una fascia circolare posta ad una certa distanza da esso (da 1-1,5 fino a 2,5-3 metri).
      Dopo la distribuzione il concime va interrato con una lavorazione superficiale piuttosto leggera.
      Con la concimazione le operazioni relative al primo anno di interventi possono considerarsi concluse.


     
  • SECONDO E TERZO ANNO
    Nell'inverno del secondo anno di intervento si effettuerà una potatura dei rami necessari per ottenere una chioma ben distribuita e sviluppata alla giusta altezza.
    I criteri a cui attenersi sono i seguenti:
    1. eliminazione totale dei polloni nati alla base della pianta, a meno che uno possa servire a completare la chioma in una zona dove il tronco principale non ha prodotto vegetazione;
    2. salvaguardia di alcuni succhioni nati sulla zona più alta delle branche e del tronco in prossimità dei grossi tagli e cresciuti in posizione verticale. Di questi succhioni ne devono essere salvati uno o due per ogni branca, in modo che sia garantita la funzione di cima.
      Tutti gli altri succhioni nati sulla zona più alta delle branche e cresciuti in posizione verticale devono essere eliminati.
      Ogni anno, o comunque a breve intervallo, si provvederà a rinnovare i succhioni con funzione di cima, in modo che questi non prendano il sopravvento sulla vegetazione sottostante, quella cioè su cui si formano i frutti.
    3. eliminazione dei rami posti in ombra o eccessivamente vicini ad altri rami situati in posizione più favorevole.
      Prima della ripresa vegetativa andrà ripetuta la concimazione con le modalità già viste.


     
  • TERZO E QUARTO ANNO
    Nei campi sperimentali si è realizzata un'eccezionale ed insperata produzione ad appena due anni dall'intervento di riforma. Può succedere che non sempre le cose vadano così bene. Comunque a due, tre o, nell'ipotesi peggiore, a quattro anni dall'intervento di riforma gli olivi ristrutturati saranno coperti da una abbondante, rigogliosa e ben distribuita vegetazione, costituita prevalentemente da rami lunghi e sottili.

    Questi rami fertili tenderanno ad assumere un portamento pendulo per il peso proprio dei frutti che porteranno. La tendenza a sviluppare rami penduli è particolarmente sviluppata nelle cultivar (varietà) Taggiasca ed in altre molto diffuse in Liguria (Lavagnina, Razzola, Frantoio). Si formerà così una serie di "pendaglie", lunghe fino a terra o quasi, da cui sarà molto facile staccare le olive al momento giusto, cioè tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre. A questo punto gli olivi hanno raggiunto la forma definitiva , che deve essere mantenuta con opportuni interventi di potatura e di concimazione.

    La potatura dovrà essere effettuata tutti gli anni, o almeno ogni biennio, e non saltuariamente come di solito si fa.

    I tagli dovranno limitarsi al rinnovamento dei succhioni con funzioni di cima, all'eliminazione delle branchette esaurite e dei rami sterili, al diradamento della vegetazione troppo fitta e non sufficiente illuminata.

    La concimazione può essere effettuata distribuendo il concime in due momenti diversi. 3 o 4 settimane prima della ripresa vegetativa si distribuisce 0,8-1 kg di urea per pianta corrispondenti a circa 1,6-1,8 kg di nitrato ammonico e 2-2,3 kg di solfato ammonico.
    Subito dopo la fioritura è opportuno distribuire ancora circa 0,4-0,5 kg di urea per pianta, corrispondente a circa 0,7-0,8 kg di nitrato ammonico e circa 1-1,2 kg di solfato ammonico.

    È consigliabile effettuare l'analisi del terreno all'inizio dell'intervento e ripeterla periodicamente ogni 4-5 anni, insieme all'analisi fogliare.

    Se si presentasse la necessità di distribuire, anche concimi a base di fosforo e di potassio, oppure concimi organici, si procede in modo diverso.

    Il fosforo ed il potassio non sono in grado (a differenza dell'azoto) di muoversi all'interno del terreno e quindi di raggiungere le radici. Lo stesso si può dire dei concimi organici. Pertanto è necessaria, dopo la distribuzione dei concimi o del letame, una lavorazione del terreno alla profondità di non più di 25-30 cm. D'altro canto non è consigliabile effettuare una lavorazione così profonda tutti gli anni per non danneggiare troppo le radici.

    La quantità di concime da distribuire si aggira intorno ai 4-5 quintali per ettaro di perfosfato minerale a titolo 19-21 e altrettanto di solfato potassico a titolo 50-58. Il perfosfato minerale è senz'altro il concime più adatto per terreni calcarei. Nei terreni neutri o tendenzialmente acidi può essere preferito un concime più concentrato, come il superfosfato triplo, o triplape, a titolo 46-48. In questo caso la quantità da distribuire deve essere ridotta a circa 2 quintale per ettaro.

    Se si dispone di letame, il quantitativo da distribuire è di 200-300 quintali per ettaro, ma in questo caso non deve essere distribuito concime chimico, a meno che il terreno non sia gravemente povero.

    Se il terreno risulta povero in sostanza organica e non si dispone di letame, può essere utile seminare, sotto gli olivi, la favetta o il lupino.

    Al momento della fioritura si farà il sovescio, cioè l'interramento delle piante di favetta o di lupino. Il sovescio non sostituisce, come invece fa il letame, la concimazione chimica. Pertanto sovescio e concimazione chimica devono essere effettuati insieme.

    La raccolta deve essere svolta precocemente per migliorare la qualità dell'olio e per ridurre l'alternanza di produzione. La raccolta si effettua a terra distaccando direttamente i frutti dai rami. Sotto la pianta, a terra, si stendono reti e teli di plastica per raccogliere le olive staccate dai rami. Dato che i rami con i frutti si trovano ad altezza d'uomo non è necessario arrampicarsi sugli alberi o usare scale.

    Inoltre sono necessari solo 3 o 4 teli di plastica (o reti) da stendere, di volta in volta, sotto ogni albero. Si evitano così le grandi spese che si fanno, con il sistema tradizionale, per l'acquisto delle reti fisse da stendere sotto gli olivi.


* PRINCIPALI AVVERSITÀ DELL'OLIVO IN LIGURIA

Mosca dell'olivo (Dacus oleae Gmel)

L'infestazione della mosca delle olive incide pesantemente sulla resa e sulla qualità del prodotto, infatti al crescere dell'infestazione corrisponde un calo della resa in olio, mentre si ha un sensibile incremento dell'acidità (che significa un deprezzamento della categoria dell'olio) e del numero di perossidi (indice di una sua facile deperibilità).

Questo insetto, allo stato adulto, è una piccola mosca (4-5 mm di lunghezza) che vola negli oliveti e comincia a deporre le uova quando le olive sono grandi più o meno come un cece. Nelle olive in cui è stato deposto un uovo di mosca si vede un piccolo forellino, talvolta circondato da un alone brunastro.

Sollevando la buccia del frutto con l'aiuto di una lametta, in prossimità del forellino si potrà vedere un piccolo uovo biancastro o semitrasparente oppure una larvetta bianca e priva di zampe lunga pochi millimetri. La larva, crescendo, scava gallerie nella polpa del frutto determinando alterazioni dei tessuti e favorendo l'insediarsi di marciumi e infezioni secondarie.

I frutti colpiti, specialmente se maturi o quasi, spesso cadono a terra.
Se restano sulla pianta o vengono comunque avviati alla molitura, contribuiscono a peggiorare notevolmente la qualità dell'olio.

Si consiglia di intervenire quando il 10% delle olive presenta una puntura fertile, cioè una puntura di mosca entro cui si rinviene un uovo o una larvetta.

Per l'individuazione del momento in cui intervenire col trattamento insetticida si procede nel seguente modo:
  1. si cominciano a tenere sotto osservazione quelle piante che, all'interno dell'oliveto, sono notoriamente le prime ad essere infestate. È opportuno fare un'osservazione ogni settimana. L'olivicoltore di solito sa quali sono le piante più sensibili. Quando su questi olivi si riscontrano un certo numero di punture fertili (circa il 10%) si comincia ad estendere l'osservazione a tutto l'oliveto;
  2. si scelgono a caso circa 10 piante per ettaro e da ognuna di esse si prelevano circa 20-30 olive, scegliendole a caso dalle varie parti della chioma. Se nel 10% o più di questo campione di olive si riscontrano punture fertili si procede con il trattamento insetticida, altrimenti si rinvia la decisione alla successiva osservazione, da farsi a distanza di una settimana;
  3. quando la percentuale di infestazione (10%) è stata raggiunta e superata è il momento di intervenire.
Il metodo tecnicamente migliore di intervento consiste nel bagnare bene tutte le piante con 10-15 ettolitri per ettaro di soluzione.

La soluzione deve essere preparata sciogliendo 60 grammi di dimetoato (meglio noto come rogor) e 50 grammi di bagnante ogni cento litri di acqua e distribuita con una pompa a pressione media, preoccupandosi di irrorare bene tutta la chioma degli olivi.

Per la lotta contro la mosca dell'olivo è stato messo a punto anche un metodo diverso di tipo preventivo basato sull'uso di esche avvelenate che colpiscono l'adulto, ed in particolare la femmina, prima che deponga le uova.

Cocciniglia (Saissatia oleae Oliv)

La cocciniglia adulta si riconosce facilmente, somigliando a un mezzo grano di pepe saldamente attaccato ai giovani rametti o vicino alla nervatura delle foglie, sulla pagina inferiore. Il danno è poco visibile e consiste in un generale indebolimento della pianta che fa sentire i suoi effetti per più anni e si risolve infine in una scarsa fruttificazione. La cocciniglia produce abbondante melata su cui si sviluppa la fumaggine.

La cocciniglia adulta è ricoperta da uno scudetto piuttosto resistente che la rende difficilmente raggiungibile dagli insetticidi. Al contrario la cocciniglia appena nata (neanide) è priva di questa protezione e può essere raggiunta dagli insetticidi.

Una buona lotta preventiva consiste nel curare adeguatamente l'oliveto, arieggiando la chioma degli alberi con le potature di riforma e facendo una buona potatura annuale. È anche importante non eccedere con le concimazioni azotate.

Può capitare che risultino infestate solo alcune piante dell'oliveto. In questo caso si può effettuare un trattamento localizzato sulle piante colpite e su quelle immediatamente adiacenti.
Per stabilire se è il caso o meno di fare un trattamento insetticida si fa una osservazione invernale. Si prendono in considerazione una decina di piante per ettaro, da ognuna delle quali si prelevano 4 rametti presi dalle diverse parti della chioma. È il caso di fare un trattamento quando sui rametti ci sono più di 3 o 4 cocciniglie vive per foglia.
Si possono fare 2 tipi di intervento in 2 epoche differenti: inverno ed estate. Il trattamento invernale, con oli bianchi (eventualmente attivati) o polisolfuro di bario, deve essere effettuato dopo la raccolta, ma non oltre la metà del mese di febbraio per evitare danni a gemme e fiori. Il trattamento estivo deve invece essere effettuato nel momento in cui c'è la massima concentrazione di neanidi di prima età, le quali possono essere facilmente raggiunte dagli insetticidi. Per stabilire questo momento si procede così:
  1. si raccolgono, verso la fine di luglio, una decina di rametti infestati dalla cocciniglia e si mettono in uno o più vasi trasparenti chiusi con ovatta o con una garza a reta molto fitta:
  2. ad un certo punto si vedrà un gran numero di piccolissimi insetti di colore giallo arancio sulle pareti o sul fondo del vasetto; circa una settimana dopo la comparsa di questi insettini (che sono ovviamente le neanidi della cocciniglia) si effettua il trattamento in campo con olio bianco non attivato alla concentrazione dell'1-1,5% al massimo e grande quantità di acqua (15-18 ettolitri per ettaro). In caso di forti infestazioni o di nuove infestazioni in epoca tardiva (settembre) si può intervenire con prodotti a base di carbaryl alla diluizione dello 0,25% di principio attivo.

    Occhio di pavone (Cycloconium oleaginum)

    Questa malattia, causata da un fungo, è favorita dall'umidità. Quindi l'occhio di pavone colpisce in modo preferenziale durante le stagioni intermedie (primavera ed autunno) o durante annate particolarmente umide e piovose. Gli olivi maggiormente colpiti sono quelli posti in località umide (fondovalle) o poco soleggiate (esposte a nord).
    L'occhio di pavone colpisce principalmente le foglie, sulla pagina superiore delle quali si formano delle macchie tondeggianti di colore bruno o grigio. Queste macchie sono inizialmente piccole e poco distinguibili. In seguito si ingrandiscono e si circondano di un alone bruno o giallastro molto caratteristico ed evidente. I danni sono principalmente dovuti alla perdita di funzionalità e alla caduta delle foglie, che indeboliscono la pianta e in definitiva provocano una diminuzione di produzione nell'anno in cui si è verificato l'attacco e spesso anche negli anni successivi.
    In caso di attacco si possono effettuare 2 trattamenti nel corso dell'anno: il primo all'inizio dell'autunno, dopo le prime piogge, e il secondo a fine inverno, prima della ripresa vegetativa. Sono particolarmente indicati i prodotti a base di rame: poltiglia bordolese e ossicloruro di rame. Questi prodotti svolgono una duplice funzione: proteggono le foglie dall'infezione e causano la caduta delle foglie già malate, che quindi possono più difficilmente infettare quelle sane.
    Una buona prevenzione della malattia si ottiene curando le condizioni generali dell'uliveto, evitando in particolare modo che l'eccessiva fittezza della vegetazione crei un ambiente poco arieggiato, umido e quindi favorevole allo sviluppo della malattia.
    In caso di reimpianti e reinnesti, si rammenti che la cultivar "Leccino" presenta una certa resistenza all'occhio di pavone e quindi può essere impiantata nei fondovalle e nelle zone più umide.

    Rogna (Pseudomonas savastanol)

    Questa malattia è causata da un batterio che penetra nella pianta attraverso ferite e lacerazioni di ogni genere provocate da gelo, grandine, bacchiatura, insetti, ecc.
    La rogna si presenta come un'escrescenza di tipo tumorale, all'inizio verde e liscia, in seguito marrone con superficie fortemente screpolata.
    Queste escrescenze si possono formare su tutti gli organi della pianta (fusto, branche, rami, foglie e frutti) ma risultano più spesso colpiti i rametti annuali.
    I danni consistono nel lento deperimento dei rametti colpiti e, nei casi più gravi, dell'intera pianta.
    La lotta contro la rogna deve essere innanzitutto preventiva, evitando di provocare ferite alla pianta con la bacchiatura.Nel caso di grandinate o gelate che hanno provocato lesioni nella corteccia dei rametti può essere utile effettuare un trattamento con prodotti a base di rame (poltiglia bordolese o ossicloruro di rame).
    Questa disinfezione delle ferite deve essere effettuata appena possibile dopo la grandinata o la gelata. Durante le potature è molto opportuno asportare i rametti colpiti dalla rogna.

    * COLTIVAZIONE PER L'ERBORISTERIA

    Il mercato erboristico richiede notevoli quantità di foglie di olivo, che quasi sempre provengono da piante coltivate per la produzione di olio.
    Queste, occorre tener presente, sono sottoposte a numerosi trattamenti con insetticidi per combattere i numerosi parassiti, pertanto le foglie di queste piante non danno l'assoluta certezza di non essere inquinate.
    All'erboristeria dovrebbero essere dedicati vecchi olivi sparsi oppure oliveti abbandonati.
    Per rendere più comoda e facile la raccolta delle foglie le piante vanno tagliate basse, in modo da poter usare il prodotto dei numerosi ed abbondanti ricacci che anche piante secolari danno in grande quantità.

    * LA RACCOLTA DELLE OLIVE

    L'olivo fiorisce in primavera; i fiori durano dai 50 ai 70 giorni, tempo più che sufficiente per la fecondazione.
    In seguito cominciano a comparire i piccoli frutti verdi, che via via si ingrandiscono e assumono forma ovale o sferica, in numero però molto basso rispetto alla quantità dei fiori.
    I frutti sono di color verde, ma la loro cuticola, la buccia esterna che riveste la polpa, diventa scura al principiare dell'autunno, cambiando dal nero al rossiccio, al viola.
    Quando anche la polpa, che contiene l'olio, ha assunto il bel colore rosso vinaccia della pelle esterna, vuol dire che è giunto il momento della raccolta.
    Tra la fine dell'autunno e il mese di gennaio si comincia a raccogliere le olive: tale operazione si svolge a più riprese, non essendo uguale la maturazione dei frutti, e si protrae per diversi mesi.

    I metodi di raccolta sono diversi: si raccattano da terra le olive cadute spontaneamente perchè mature; le olive possono essere bacchiate, fatte cadere battendo con pertiche la chioma delle piante (metodo sconsigliabile perchè rovina sia l'albero che la qualità dell'olio); oppure dopo la scuotitura si raccolgono i frutti. Infine le olive possono essere raccolte "brucando", cioè togliendole dall'albero a mano.

    Di tutti i sistemi quest'ultimo è il migliore, perchè la pianta non subisce danni.
    Ci si serve per questa operazione di "scàe" (scale), di "lensìn" (Genova S.Ilario), lunghe pertiche con un gancio terminale, di "scossèin", grembiuli a sacca, tenuti aperti da un bastoncino infilato nella piega della vita.
    Oggi la raccolta è facilitata dalle reti in plastica, stese sotto gli uliveti, ma un tempo veniva fatta esclusivamente a mano, raccogliendo i frutti a terra.
    Per questa operazione arrivavano dal Piemonte, specie dal Cuneese, molte donne fornite di grembiuli e di "cavagni".
    I Comuni e i singoli proprietari mettevano a disposizione delle raccoglitrici i locali di abitazione per tutto il tempo della raccolta.
    Altrettanto famose nell'Imperiese erano le "Sciascellìn-e", provenienti a centinaia dal Sassello e da tutto il Savonese; mentre dalla zona di Cento Croci e del Gottero provenivano le lavoranti dirette a Levanto, Santa Giulia, Boasi, Libiola.
    Le donne, giudicate più veloci degli uomini, curve sul terreno, vuotavano di volta in volta in sacchi le olive raccolte in una sporta di cuoio, stretta alla vita, oppure nei canestri di vimini. Erano pagate in denaro o in natura con tanto olio in rapporto al peso complessivo delle olive raccolte.
    Durante la raccolta, poi, certe famiglie scarse di manodopera tagliavano i rami destinati ad essere potati, svolgendo così due lavori in uno.

    In provincia di Imperia la quantità di olive raccolte da mandare al frantoio si valutava in litri con speciali misure, secchielli cilindrici di legno, forniti di una intelaiatura metallica che ne facilitava l'impugnatura e impediva le deformazioni.
    La misura più piccola era il doppio litro, indicata nel dialetto locale come "cupèllu"; il mezzo decalitro era chiamato "metürà" (meteora).
    Venivano poi la mezza quarta: "mèsa quòrta", di dieci litri; la quarta ("quòrta") o doppio decalitro pari a 12,5 Kg. circa; lo "staio" (due quarti) e la "gombata" (10 quarte, ma 20 quarte nelle valli Nervia e Arroscia).
    Quando le misure erano colme si livellavano le olive con un bastone cilindrico ("randèllu", "rànda") e si riversavano nei sacchi per il trasporto al frantoio.
    In genere in un sacco erano contenute 5 quarte di olive (100 litri), corrispondenti però a 65 Kg. per effetto di un certo calo nel passaggio dai litri ai chilogrammi.
    Il trasporto dall'oliveto al frantoio avveniva un tempo per mezzo dei muli o di carri trainati da buoi o da cavalli.

    * UTILITÀ DELLA PIANTA DI OLIVO

    UTILITÀ DEL LEGNO

    Il legno è duro, con nodi e fibre irregolari. Questi pregi, uniti al bel colore avorio, lo rendono di una finezza ineguagliabile tanto che spesso viene utilizzato per sculture.

    UTILITÀ DELLE FOGLIE

    Le foglie di olivo hanno diverse proprietà terapeutiche, perciò vengono utilizzate in erboristeria dopo essiccazione. Il prodotto migliore si ottiene da foglia raccolta verde ed essiccata al riparo dal sole, ma spesso si trova in commercio foglia proveniente da rami tagliati ed essiccati, il prodotto così ottenuto però ha un colore più scuro ed è meno ricco di principi attivi.
    Le foglie inoltre rappresentano un mangime molto appetito dai ruminanti, in particolare dagli ovini, per il sapore amarognolo dovuto a una sostanza di natura fenolica, l'oleopurina, presente nelle foglie verdi nella misura dell'1-2%.

    UTILITÀ DEL FRUTTO

    Il frutto dell'olivo è una drupa da cui si ottiene l'olio per pressione o per centrifugazione. Dopo le prime spremiture si ottiene un sottoprodotto, la sansa, utilizzata come mangime, paragonabile a un buon fieno di prato, o come combustibile.

    * OLIO DI OLIVA E SALUTE

    OLIO DI OLIVA E COLESTEROLO

    I grassi sono indispensabili per la vita, ma il loro apporto deve essere adeguato sia per la quantità che per la composizione qualitativa.
    Attualmente la maggioranza degli studiosi ritiene che l'apporto totale dei grassi debba oscillare intorno al 30% delle calorie totali.
    Quantità superiori favoriscono la comparsa di disturbi, oltrechè all'apparato circolatorio, quali infarto del miocardio, trombosi cerebrali, arteriopatie degli arti inferiori, anche al fegato ed al pancreas.
    Quantità inferiori, pur essendo ben tollerate, richiedono un maggior apporto di carboidrati il che può portare ad un aumento di trigliceridi nel sangue e ad una riduzione del colesterolo-HDL, il cosiddetto "colesterolo buono".
    Definito l'apporto calorico quantitativo, il problema più importante resta però quello di definire anche la composizione qualitativa in acidi grassi (saturi, monoinsaturi e polinsaturi) ed in colesterolo.

    Per meglio comprendere i risultati a cui sono giunti gli esperti, occorre prima ricordare brevemente il ciclo del colesterolo nell'organismo.
    Esso viene creato nel fegato oppure vi arriva quello assorbito con il cibo.
    Essendo insolubile in acqua, viene immesso nel sangue con alcune proteine.
    Si formano così delle "lipoproteine" che hanno il compito di trasportare il colesterolo dal fegato alle cellule che lo debbano utilizzare per la formazione delle membrane o per la sintesi degli ormoni steroidei.
    Una volta utilizzato, le cellule provvedono ad eliminarlo veicolandolo con le altre lipoproteine che provvedono ad allontanarlo dall'organismo attraverso le vie biliari nell'intestino.

    Le lipoproteine che trasportano il colesterolo nel viaggio di andata sono diverse da quelle che lo trasportano nel viaggio di ritorno e si distinguono soprattutto per la diversa densità: le prime, dotate di bassa densità, vengono denominate LDL (low density lipoprotein), mentre le seconde, dotate di alta densità, vengono denominate HDL (high density lipoprotein).
    Un aumento di LDL esprime un cattivo metabolismo del colesterolo, ed un aumento del rischio di ammalarsi di infarto del miocardio, un aumento invece di HDL esprime un efficiente sistema di allontanamento del colesterolo dall'organismo e quindi un indice di protezione contro la malattia.

    Le LDL, per cedere il colesterolo alle cellule, necessitano però di alcuni recettori specifici posti sulla membrana della cellula stessa i quali le captano e le internalizzano in modo che la cellula introduca e possa utilizzare il colesterolo per i propri fini biologici.
    Quando la cellula ha soddisfatto il suo fabbisogno riduce il numero dei recettori in quanto non ha più bisogno di colesterolo.
    Anche un eccesso di colesterolo alimentare provoca una diminuzione dei recettori in quanto le cellule ne sono sature. Di conseguenza le LDL non vengono più captate e continuano a circolare nel sangue accumulandosi.

    Il primo passo quindi per una corretta impostazione dietetica nella prevenzione dell'ipercolesterolemia e dei rischi ad essa connessi è la riduzione degli alimenti ricchi in colesterolo come il cervello, il fegato, le uova, le interiora, il lardo, i grassi animali in genere.
    Occorre consumare anche meno acidi grassi saturi. Numerosi studi hanno evidenziato che la contemporanea presenza di acidi grassi saturi conduce infatti ad un aumento della colesterolemia in misura superiore alla quantità di colesterolo contenuta negli alimenti.
    Il meccanismo con il quale questi acidi grassi agiscano non è stato ancora chiarito, ma è probabile che riducano il numero di recettori cellulari o ne inibiscano l'efficienza, anche se non è escluso un potenziamento della sintesi del colesterolo intracellulare.

    Gli acidi grassi polinsaturi non avrebbero azione inibitoria sui recettori così come, al contrario, viene svolta dagli acidi grassi saturi.
    Fondamentale è quindi la sostituzione dei saturi con gli insaturi e non l'addizione di questi ultimi ai primi.
    È stato rilevato che gli effetti ipocolesterolemizzanti dei polinsaturi sono più rapidi ed evidenti di quello dei monoinsaturi, contenuti in buona quantità nell'olio di oliva, ma i polinsaturi in elevati quantitativi non sono del tutto scevri da inconvenienti.

    Per meglio comprendere questo ultimo aspetto ricorderemo che la presenza dei legami insaturi determina una suscettibilità dell'acido grasso all'attacco dell'ossigeno con formazione a livello biologico di perossidi e di composti intermedi altamente reattivi detti "radicali liberi".
    I radicali liberi sono oggi al centro dell'interesse del mondo medico per le numerose sequele patologiche che vi sono connesse, ivi compresa anche l'accelerazione dei processi di invecchiamento.
    Noi siamo tuttavia difesi dall'attacco perossidativo da un complesso sistema antiossidante che è in parte congenito (enzimi vari) ed in parte assunto quotidianamente con gli alimenti (vit. E, vit. A, vit. C).
    Generalmente non si manifesta un serio problema perossidativo in quanto esiste un equilibrio fra antiossidanti e substrato perossidabile che consente all'organismo di vivere entro un limite tollerabile.
    È da notare però che la possibilità dell'innesco perossidativo sarà tanto maggiore quanto sarà il numero dei legami insaturi. Gli acidi grassi polinsaturi costituiscono pertanto un bersaglio per la produzione di radicali liberi, mentre gli acidi grassi monoinsaturi, che posseggono un solo legame insaturo, si dimostrano più resistenti.
    Sembrerebbe pertanto consigliabile ridurre il substrato perossidabile piuttosto che aumentare la somministrazione degli antiossidanti ed è questo appunto l'orientamento attuale degli studiosi i quali consigliano di non superare il 10% delle calorie totali degli acidi grassi polinsaturi e di dare invece ampio spazio ai monoinsaturi, cioè all'olio di oliva.
    Esiste però un altro importante fattore da tenere in considerazione nella prevenzione e nel trattamento dell'ipercolesterolemia. Come si è detto, il colesterolo, dopo essere stato utilizzato dalle cellule, deve essere rimosso ed allontanato dall'organismo. A questo processo di trasporto inverso provvedono le HDL.
    Un buon trattamento dietetico deve mirare non solo alla riduzione del colesterolo totale, ma anche all'aumento del colesterolo-HDL. Gli acidi grassi polinsaturi (di cui sono ricchi gli oli di semi) riducono i livelli del colesterolo totale, ma non migliorano i livelli del colesterolo-HDL, anzi, tendono a ridurli.
    Al contrario, gli acidi grassi monoinsaturi (di cui è ricco principalmente l'olio di oliva) aumentano il colesterolo-HDL con un miglioramento del rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL, indice di rischio cardiovascolare, ovvero con una più evidente diminuzione di probabilità di malattia.
    In conclusione, l'olio di oliva era stato un tempo valutato solo per il gradevole sapore e la facile digeribilità, ma le sue virtù terapeutiche non erano state riconosciute dalla scienza ufficiale. Oggi infatti si parla di quantità ottimali per l'organismo di acidi grassi mono e polinsaturi, quantità che possono essere raggiunte con il solo olio di oliva il quale, non dimentichiamolo, presenta un adeguato contenuto di polinsaturi, nella media dell'8-10%, oltre a un minor contenuto in acidi grassi saturi, il 9% circa, e una adeguata quantità di monoinsaturi, pari all'85%.

    OLIO DI OLIVA E ATEROPREVENZIONE

    L'olio di oliva contiene per il 70% acido oleico. In uno studio effettuato in Spagna si è visto che fa scendere le Ldl, innalzando le Hdl, specie tra gli uomini; mentre con l'olio di girasole (62% di acido linoleico, poliinsaturo) si ha un calo della colesterolemia totale con riduzione delle Hdl, più netta nelle donne.
    Inoltre rilascia in circolo, come gli altri oli di semi ricchi in polinsaturi, radicali liberi, predisponendo alla calcolosi biliare.
    In pazienti ipercolesterolemici sottoposti a dieta arricchita in olio di oliva si vede scendere la colesterolemia totale e risalire le Hdl, inoltre si ha maggior deformabilità degli eritrociti, minor viscosità ematica e quindi miglior flusso laminare endolume
    È evidente che quando il colesterolo è alto il microcircolo ne risente perchè il sangue è più viscoso, gli eritrociti meno deformabili e più tendenti ad aggregarsi; quindi l'acido oleico ha un effetto antisclerotico e di protezione dell'emoflusso.
    Nei pazienti a rischio, trattati con olio di oliva, si è rilevato un calo della fibrinogenemia; ultimamente si è attribuito all'eccesso di fibrinogeno un ruolo tutt' altro che secondario nei processi aterotrombotici.

    PROPRIETÀ TERAPEUTICHE DELLE FOGLIE

    PARTI UTILIZZATE
    • foglie
    • corteccia
    PROPRIETÀ
    • ipotensive per vasodilatazione periferica; secondo ricerche effettuate, si evidenzia già dopo 20-30 minuti dalla somministrazione e non ha effetto cardiodepressore (G. Mazet, Daniel-Brunet e Oliviero, Balansard e Delphaut)
    • diuretico
    • antidiabetico (P. Manceau)
    • facilita le funzioni epatiche
    • febbrifugo (Cazin)
    INDICAZIONI
    • ipertensione
    • aterosclerosi
    • eccesso di urea sanguigna
    • litiasi urinaria
    • diabete
    • pletora
    • angina pectoris (uso prolungato)
    MODO DI IMPIEGO
  3. infuso di foglie: da 30 a 80 grammi per litro d'acqua. Bollire e tenere in infusione 10 minuti. 3 tazze al giorno o più prima dei pasti da bere caldo. Nell'ipertensione, alternare le cure di fiori di biancospino e le cure di foglie di olivo.
  4. estratto idroglicerico totale di foglie fresche; da 30 a 40 gocce, 3 volte al giorno.
  5. tintura: 60 gocce al giorno, prima dei pasti.
  6. estratto molle acquoso: da 0,50 a 0,80 grammi al giorno.
  7. estratto fluido: da 3 a 5 grammi al giorno. N.B: Una dose di estratto alcoolico, corrispondente a 13,5 grammi di foglie, iniettata per via sottocutanea a un coniglio provoca un abbassamento della glicemia del 25% in 2 ore e mezza (L. Binet).

    * STORIA DELL'OLIVO IN LIGURIA

    Come sia giunto in Liguria non si sa.
    Certo è che nella zona delle Alpi Marittime, in un vecchio castelliere ligure preromano, è stata ritrovata una pietra lavorata in modo da far supporre che servisse alla triturazione delle olive.
    Col tempo l'olivastro selvatico è stato sostituito da qualità più produttive.
    Già l'occupazione greca della zona aveva reso la coltura remunerativa. L'occupazione romana vi diede nuovo impulso. Ancora nel quarto secolo dopo Cristo S. Ambrogio ne parlava in numerosi passi dei suoi discorsi, segno di una produzione molto viva.

    Il vero rilancio però si ebbe dopo il Mille per due circostanze distinte, ma fortunatamente concomitanti.
    I monaci benedettini hanno introdotto la varietà "Taggiasca" (da Taggia) da cui si ricava olio con pochissima acidità.
    È la varietà che ancor oggi è coltivata.
    Sempre questi monaci avrebbero fatto conoscere alle popolazioni della Liguria le tecniche per terrazzare la montagna.
    Certo, in documenti del Medioevo si fa cenno a donazioni di terre coltivate ad olivi a monasteri e abbazie da parte di sovrani o di privati.
    Ma è anche noto che nel Medioevo si continuò a importare olio dalla Provenza, segno che la Produzione ligure era ancora assai scarsa.

    Le crociate poi e la potenza marittima di Genova richiedevano lunghi tempi in mare. Bisognava trovare il modo di conservare il cibo per i marinai. Si è scoperto che l'olio all'uopo era migliore del sale.
    Ci fu allora un vero boom di produzione che portò anche un maggiore relativo benessere fra la popolazione.

    Altri storici hanno sostenuto che furono proprio i Crociati a introdurre l'olivicoltura in Liguria, che si è sicuramente sviluppata più tardi, a partire cioè dalla fine del XVI secolo, quando il lardo e altri grassi animali cessarono di essere l'unico sistema di condimento dei cibi e soprattutto in conseguenza dell'aumentata richiesta del prodotto da parte dei paesi dell'Europa centro settentrionale e di altre regioni d'Italia.

    La richiesta fece via via aumentare il prezzo dell'olio, rendendo vantaggiosa la coltivazione dell'olivo.
    Fu così che intorno ai centri delle due riviere e nel loro immediato retroterra si diffuse l'oliveto, prevalendo come monocoltura, cioè come coltura esclusiva e dominante nella riviera di ponente, specie nel territorio imperiese e come coltura promiscua, cioè mescolata ad altre, quali la vite, il fico, gli agrumi, i cereali, nella riviera di levante.
    L'aumento della produzione dell'olio a partire dalla seconda metà del XVI secolo è documentato anche dal frequente ritrovamento di giare di quest'epoca e dei secoli successivi.
    Le giare venivano importate da una fabbrica di Antibes (Francia) e se ne faceva grande commercio in Liguria e in Toscana.
    Più tardi in Liguria si diffusero anche le giare di Montelupo (Toscana), caratteristiche per il colore rosso della terracotta, per i manici e le bande in rilievo.

    In origine le principali varietà di olivo coltivate in Liguria erano la "Taggiasca", da Taggia, da dove l'olivicoltura si sarebbe diffusa, partendo da ponente, lungo tutta la riviera ligure, e la "Lavagnina", nome che la stessa varietà prende nella riviera di levante.

    Il momento di massima espansione dell'olivo si ebbe tra il XVII e XIX secolo, quando i prezzi dell'olio in continuo aumento convinsero i Liguri della riviera a trasformare le colture, a privilegiare l'olivo, abbandonando la vite e gli agrumi.

    Genova era uno dei principali mercati: la città comprava olio per le necessità dei suoi abitanti, ma faceva anche da centro di smistamento dell'olio verso altri paesi e altre regioni.
    È dunque in questo periodo che il territorio ligure viene ulteriormente modificato dall'uomo, con l'incremento dato dal terrazzamento a fasce.
    Nella seconda metà del secolo scorso, in conseguenza dell'aumentato costo del lavoro, vengono tempi duri per gli olivicoltori, specialmente per quelli che hanno praticato la monocoltura.
    Non offrendo più la produzione dell'olio un reddito soddisfacente, ecco il contadino ligure rivolgersi verso nuove colture, riprendere quelle abbandonate o addirittura abbattere le piante per farne legna.

    * IL FRANTOIO

    Nell'imperiese il vano del frantoio, sistemato di solito nei fondi della casa, viene denominato in certe zone "defiziu".

    Come per altre operazioni legate all'olivicoltura, circa il frantoio esistono, lungo l'arco ligure, notevoli differenze nei termini in uso per indicare parti e funzioni e, in alcuni casi, anche nelle strutture e nelle forme degli attrezzi.

    A Imperia la parte fissa del frantoio, in cui vengono versate le olive, ha i bordi verticali rialzati ed è in tutto simile ad una vasca circolare. Si chiama "pìlla".
    Collegate all'albero della macina vi sono sbarre trasversali che, raschiando sul fondo, rimescolano la pasta delle olive. Sono le "mès-cie".

    La mola fissa di certi frantoi della Liguria di Levante, "a pìla" (ma anche "u lètu" - Val Graveglia), è invece priva di sponde laterali rialzate, ma presenta un bordo largo e un poco cavo, che impedisce la fuoriuscita della pasta di olive.

    In certi frantoi (Val Graveglia), le olive vengono versate prima nella "cántia", cassetta a imbuto (una speciale tramoggia), attaccata all'asse verticale a ridosso della mola girevole.
    Dalla "cántia" le olive passano a strisce sotto la mola ("a möa"), la macina verticale che gira attorno all'albero, fatta muovere dall'animale o dall'uomo per mezzo della stanga ("u füsu" in val Graveglia), che passando sulle olive le schiaccia.

    A Chiusavecchia (Imperia), Francesco Merano descrive il lavoro che si svolgeva nel vecchio frantoio:
    "Caricavamo la "pilla" alla sera: 15, 16 sacchi di olive e il frantoio girava tutta la notte. Al mattino la pasta di olive era pronta per la torchiatura. La macina un tempo era fatta girare dall'animale, l'asino o il mulo. Si diceva allora che "u gúmbu" (frantoio) era "a sangue". Più spesso però la macina era fatta girare dall'acqua, incanalata sulla grande ruota esterna. Le olive pestate venivano levate dal frantoio con una larga zappa e caricate su un carrello detto "baástru". Dal carrello passavano negli "spurtìn", cioè nei fiscoli, specie di gabbie circolari di giunco, di corda o di fibra di cocco, a maglia larga, con un foro nel fondo, che uno sopra l'altro venivano fissati sotto il torchio e spremuti".

    Il torchio ("tórciu" nell'imperiese) si trova dunque nello stesso locale del frantoio ed è un attrezzo di fondamentale importanza.
    In val Graveglia viene detto "u strenzóu" e la pasta di olive viene premuta nei fiscoli ("spórte de corda" o "zerbìn").
    Sugli "zerbìn", man mano accatastati sotto il torchio, si versa acqua calda.
    Olio e acqua finiscono in un recipiente, "u tinèlu" o "u galócciu", sistemato nel "trögiu", la buca davanti al torchio.
    L'olio sarà separato dall'acqua con mestoli poco profondi di varia grandezza e forma ("a lècca")
    Quanto resta dopo diverse torchiature sarà ancora recuperato e, dopo la separazione della sansa (i noccioli pestati delle olive), servirà per insaporire le focaccette casalinghe o come mangime per maiali e galline.

    Poichè le olive contengono dal 20 al 25% di olio; dal 40 al 50% di sansa (pelli e noccioli); il 30% di acqua, è evidente che nel frantoio si cercasse di recuperare la massima quantità del prodotto utile e di non sprecare assolutamente nulla.
    Ciò si fa oggi nei frantoi moderni, dotate di apparecchiature complesse e automatiche, per cui da una parte entrano le olive dall'altra esce l'olio.
    Ma un tempo dipendeva dai miracoli di inventiva per dotare il frantoio dei congegni necessari allo sfruttamento di tutti gli scarti della lavorazione delle olive.
    Così in certi frantoi, accanto alla macina e ai torchi, c'era una complessa attrezzatura formata da vasche di decantazione, paioli per l'acqua calda, frullatori, giare ecc.
    Va inoltre ricordato che fu il frantoiano Mela di Dolcedo (IM) ad introdurre nel 1717 l'importante innovazione del lavaggio delle sanse.
    A Chiusavecchia (IM) nel frantoio di Francesco Merano gli scarti venivano lavati in una vaschetta in cui due frullatori giravano in senso contrario.
    L'acqua intrisa d'olio usciva dall'alto (altra acqua pulita entrava dal basso) e andava in vasche di decantazione, dove con mestoli ("cásse") si raccoglievano i "pellámmi" (le pelli) per torchiarli un'ultima volta in tasche di giunco simili ai fiscoli, detti "spagnolette".
    Si recuperava così ancora un po' d'olio. I "pellámmi", dopo la spremitura, venivano usati come mangime per il bestiame misti a crusca, o venduti per ricavarci sapone.
    A Vasia (IM) le pelli delle olive vengono chiamate "pellúia". Anticamente "e pellúie" venivano pressate e se ne facevano pani per illuminare i paesi in occasione delle feste patronali.

    Quanto restava della sansa, cioè i noccioli, restava sul fondo del frullino.
    Una volta la sansa veniva fatta essiccare e con un trattamento a fuoco veniva trasformata in "sansin", una specie di carbonella che le famiglie accendevano negli scaldini di ottone o di terracotta.
    Quelli di ottone si mettevano sotto i tavoli per "rompere l'aria" nelle giornate fredde dell'inverno, quelli di terracotta i vecchi li tenevano tra le mani o, sistemati "nei preti", servivano per riscaldare i letti. La sansa si bruciava verde nei forni.

    A Nervi, l'olivicoltore portava le olive nel frantoio ad acqua in località Molinetti, assisteva alla spremitura e alla torchiatura, portandosi via l'olio e lasciando come compenso al proprietario del frantoio la sansa e una cifra pattuita per ogni sacco di olive macinate. (un sacco corrispondeva a 9 quarte, cioè a 90, 95 Kg).

    L'olio si misurava con tre tipi di misure: "a mèsa" (32 litri), "u quártu" (16 litri), "u mèsu quártu" (8 litri).

    L'olio naturalmente doveva essere trasportato e conservato. È ancora Francesco Merano a descriverne il trasporto.
    "I contadini mandavano l'olio al mercato in pelli di capra. Ogni pelle conteneva circa 100 Kg. di olio. Le capre erano uccise e scuoiate senza lacerare la pelle, che veniva legata in prossimità delle zampe, conciata con il sale, raschiata per togliere i peli e la sporcizia. La parte a contatto con l'olio era comunque quella del pelo. Le pelli, riempite d'olio, venivano sistemate in sacchi, caricate su carri e avviate ai mercati delle città costiere."

    L'olio non venduto si conservava nelle giare, vetrificate nella parte interna.
    Nella val di Magra l'olio era conservato nelle case dei ricchi proprietari in grosse "conche" rettangolari di marmo di Carrara, lunghe 2 metri, mentre un recipiente più piccolo, sempre di marmo, conteneva i residui e i fondi della sansa, adoperati per ungere le ruote dei carri.

    Che cosa resta oggi delle pratiche fin qui descritte, delle usanze più antiche, legate alla coltura dell'olivo, dei terrazzamenti, dei vecchi frantoi, ognuno può osservarlo da sè viaggiando per la Liguria e guardandosi attorno.

    È chiaro che occorre porsi il problema della sorte dell'olivo in un'ottica economica, ma, al limite, se anche economicamente non fosse valida, l'olivicoltura dovrebbe essere ugualmente sostenuta per il suo importante aspetto ecologico.

    Il fatto di aver mantenuto estensioni di terreno con colture di olivi ha contribuito alla conservazione del territorio.
    In Liguria, ed in particolare in provincia di Imperia, dove vi sono dai 4 ai 5 milioni di piante su di una superficie di circa 16000 ha, se non accogliessero gli olivi, queste "fasce", questi muri a secco costruiti dai padri, non avrebbero senso.

    Sono un richiamo di carattere turistico ed elemento essenziale di una politica ecologica ormai sempre più necessaria.
    Bisogna assolutamente evitare che un grande patrimonio di ricchezza nazionale, quale l'olivicoltura, frutto di sacrifici titanici che solo i nostri antenati sapevano fare, rischi di andare distrutto per mancanza di interventi adeguati.

    * BIBLIOGRAFIA